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A Superga pioveva

Bacigalupo, Ballarin, Maroso. Grezar, Rigamonti, Castigliano. Menti. Loik. Gabetto. Mazzola. Ossola. Poi, gli applausi scroscianti del pubblico. Il mio primo ricordo del Grande Torino. Avrò avuto cinque, sei anni.


Il Toro iniziava a languire in B, costringendomi di fatto, non avendo pay-TV a casa, a non vederlo più se non sui risultati di Televideo e, se succedeva qualcosa di strano (magari ci si avvicinava alla zona promozione...), nell'unica sintesi di B che trasmettevano a 90° Minuto. Però quella formazione, quel mantra, lo ricordavo già a memoria, scandito con quella esatta punteggiatura, forse senza nemmeno sapere ancora cosa significasse.


Sapevo che quelli erano i nomi di persone che non c'erano più. Quei nomi, insieme a quelli di altre persone fuori da quella che nella mia testa era la "formazione titolare", componevano la squadra più forte che avesse calcato fino a quel tempo un campo da calcio (no, non mi pronuncerò sul dopo, perché sono convinto che QUEL calcio non fosse lo stesso sport che si giocava ai tempi dell'Ajax di Cruijff, del Milan di Sacchi e Capello e del Barcellona di Messi e Guardiola), e che chissà per quanto tempo ancora avrebbe potuto vincere e far sognare noi tifosi.

Il mio pensiero ricorrente, da bambino costretto ad aspettare il TG regionale per vedere quelle maglie granata in televisione per pochi secondi, era: se l'aereo del Grande Toro non fosse caduto, oggi saremmo qui a festeggiare, che so io, il 50° scudetto, invece di continuare a sperare in una promozione dalla B che arriva di rado e che quando arriva poi l'anno dopo son dolori e si tirano sospiri di sollievo se la fatidica soglia dei 40 punti si raggiunge all'ultima giornata?


Alle 17.03 di quel piovoso 4 maggio del 1949, però, la Storia aveva deciso: basta. Era ora di richiamare a sé il Grande Torino, era ora che quella squadra invincibile, reduce peraltro da una delle poche sconfitte di quel periodo, il 4-3 subito a Lisbona in amichevole contro il Benfica, entrasse a pieno titolo nella leggenda.


Oggi sono passati settant'anni da quel 4 maggio. Come spesso mi è capitato di ripetere per tanti argomenti diversi in questi ultimi tempi sono sempre meno coloro che hanno avuto modo di vedere, toccare, conoscere direttamente la leggenda. Così come sono sempre meno coloro che hanno avuto modo di sfiorare il dolore di quella tragedia. Mia nonna, che pure tifa la goeba (sia chiaro, senza grande partecipazione) e che all'epoca aveva dodici anni ed era in collegio a Torino, mi ha raccontato di quel pomeriggio nero, in cui la città era avvolta da questa cappa scura e crepuscolare di nubi fitte, e di ricordarsi una sua compagna che, appresa la notizia, stava in un angolo a piangere, inconsolabile, perché erano morti "quelli del Toro". Non che li conoscesse, non che fosse, riportando all'oggi il discorso, un "ultras". Ma li piangeva, come se fosse morto un parente prossimo, un amico caro.


Stamattina, sui social, sui giornali, in televisione, la tragedia di Superga è un trend topic: ieri sera al derby (che, sinceramente, temevo incrinasse un po' la ricorrenza di oggi, mentre è stato a onorato in campo da entrambe le squadre) persino la tifoseria dei cuginastri ha tirato su, in un momento emozionante, uno striscione con su scritto "Onore ai Caduti di Superga", un bel modo per ricucire un po' gli strappi legati a quegli altri striscioni di senso opposto visti negli ultimi anni (e vergognosi come tutti quelli che vanno a toccare tragedie, Heysel compreso ovviamente).


C'è chi dice sia solo calcio, ma io penso non sia così. Al di là del fatto che si sta parlando di una tragedia in cui morirono 31 persone, quanto accadde il 4 maggio '49 non riguardò solo il calcio o solo lo sport. Riguardò innanzitutto un Paese che stava affrontando uno dei momenti più difficili della sua storia, quello della ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale e il Ventennio fascista, e che traeva speranza da quelle occasioni di vittoria e rivalsa anche all'estero (non dimentichiamo che il Torino arrivò a prestare dieci giocatori su undici alla nazionale italiana, un record ancora oggi, e viste le tendenze chissà per quanto ancora, imbattuto).


Poi, riguardò le persone. Tutte quelle persone come la compagna di mia nonna che piangeva inconsolabile in un angolo; come Vittorio Pozzo, che di quella squadra era stato allenatore e che ebbe il compito infausto di andare a riconoscere quei ragazzi che aveva visto crescere e diventare uomini tra le macerie di Superga; come le migliaia di persone accorse ai funerali due giorni dopo; come tutti coloro che ancora oggi, pur non avendo vissuto quei momenti, molti nemmeno le "glorie successive" (lo scudetto del '76, la UEFA sfiorata del '92,...) continuano a salire a Superga, a celebrare gli Invincibili, a imparare i loro nomi a memoria, come un mantra, a emozionarsi passando davanti al Fila. In un film di qualche anno fa, Ora e per sempre, il personaggio interpretato da Giorgio Albertazzi pronuncia un monologo in mezzo alle rovine del Filadelfia (non ancora ricostruito), dicendo che ci sono luoghi in cui il tempo si ferma e si toglie il cappello. È proprio così: ci sono luoghi, ci sono miti, ci sono persone.


E allora, per gli Invincibili, giù il cappello.


LE VITTIME DI SUPERGA


Giocatori

  • Valerio Bacigalupo (25, portiere)

  • Aldo Ballarin (27, difensore)

  • Dino Ballarin (23, portiere)

  • Émile (detto Milo) Bongiorni (28, attaccante)

  • Eusebio Castigliano (28, mediano)

  • Rubens Fadini (21, centrocampista)

  • Guglielmo Gabetto (33, attaccante)

  • Roger (detto Ruggero) Revelli Grava (27, centravanti)

  • Giuseppe Grezar (30, mediano)

  • Ezio Loik (29, mezzala destra)

  • Virgilio Romualdo Maroso (23, terzino sinistro)

  • Danilo Martelli (25, mediano e mezzala)

  • Valentino Mazzola (30, attaccante e centrocampista)

  • Romeo Menti (29, attaccante)

  • Piero (detto Pierino) Operto (22, difensore)

  • Franco Ossola (27, attaccante)

  • Mario Rigamonti (26, difensore)

  • Július (detto Giulio) Schubert (26, mezzala)

Dirigenti

  • Egidio (detto Arnaldo) Agnisetta (55, Direttore Generale)

  • Ippolito Civalleri (66, Dirigente Accompagnatore)

  • Andrea Bonaiuti (36, organizzatore delle trasferte)

Allenatori

  • Egri Erbstein (50, Direttore Tecnico)

  • Leslie Lievesley (37, allenatore)

  • Ottavio Cortina (52, massaggiatore)

Giornalisti

  • Renato Casalbore

  • Renato Tosatti

  • Luigi Cavallero

Equipaggio

  • Pierluigi Meroni (33, primo pilota)

  • Cesare Bianciardi (34, secondo pilota)

  • Celeste D'Inca' (44, motorista)

  • Antonio Pangrazzi (42, radiotelegrafista)

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