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L'inferno di Treblinka


Ogni anno la Giornata della Memoria è per me non solo occasione di ricordo e commemorazione, ma ancor più di scoperta. Scoperta perché, tragicamente, non si smette mai di trovare nuove pagine, di scendere sempre più nella spirale del male. Così, quando ho letto per la prima volta L'inferno di Treblinka del giornalista Vasilij Grossmann, ho scoperto una pagina che non avevo mai scandagliato con attenzione, ovvero quella dei campi di sterminio dell'Aktion Reinhard.

“Quanto manca a Ober-Majdan?”, chiedevano i bambini nelle stazioni intermedie dove si fermavano i treni di ebrei provenienti da tutta la Polonia, dai ghetti di Varsavia, Radom, Lublino, Grodno, Czestochowa, Bialystok. "Ober-Majdan" era il nome in codice con cui i Nazisti chiamavano il Lager 2 di Treblinka, uno dei campi di sterminio allestiti nel quadro dell’Aktion Reinhard, gli strumenti della Soluzione Finale.

A differenza di quanto avveniva nei campi già esistenti e ad Auschwitz, nei campi dell’Aktion Reinhard, ovvero Belzec, Sobibor, Chelmno e, appunto, Treblinka i prigionieri non lavoravano. Semplicemente, morivano.

Quando i treni giungevano a “Ober-Majdan” trovavano una stazione vera e propria, con un’orchestra che suonava all’arrivo dei convogli, un addetto al controllo dei biglietti, un ristorante e cartelli per varie destinazioni. Ma non c’erano altri binari: solo un piazzale, che appariva sempre come ramazzato di fresco, ma sul quale giacevano abbandonati fagotti di abiti, valigie aperte, pentole smaltate. Dov’erano i binari? C’era un unico binario, una striscia di cemento che portava a dieci stanze, affacciate sui binari di una monorotaia. Dieci stanze dal pavimento inclinato, che un ingegnoso sistema di tubi collegava a dei motori diesel da carro armato. Gli ebrei venivano spinti nelle stanze a forza, spesso utilizzando i cani, quindi le porte venivano chiuse e i motori accesi. A quel punto il silenzio tornava a invadere l’area. Gli abitanti di Volka, il paese più vicino al campo, scappavano nel bosco quando udivano le urla lancinanti. Che di colpo si zittivano, per poi ricominciare al convoglio successivo. Due, tre convogli al giorno. Ciascuno con una sessantina di vagoni. Su ogni vagone circa centocinquanta persone. Per tredici mesi.

Si stima che le vittime del campo oscillino tra le 700.000 e le 900.000, ma esistono stime ancora più terribili, che parlano di anche 3.000.000 di persone. È il secondo luogo più mortifero del Reich dopo Auschwitz. I superstiti alla fine del conflitto sarebbero stati 18.

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