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Primo maggio, ventitré anni fa

Ventitré anni: era il primo maggio, quando a Imola, Autodromo Enzo e Dino Ferrari, durante il Gran Premio di San Marino, morì, in un certo senso, la Formula 1. O meglio, morì quella Formula 1 tutta al limite, quella se si può dire "eroica"; al suo posto sarebbe rimasta una disciplina più sicura, probabilmente meno spettacolare ma sicuramente meno pericolosa per chi si siede al volante delle monoposto.


Il primo maggio del 1994 moriva, al volante della sua Williams, Ayrton Senna, alla fine di un weekend di gara tragico: il venerdì fu Rubens Barrichello, proprio quel Rubinho vice di Schumacher negli anni d'oro della Ferrari, a incrociare lo sguardo della morte in un incidente durante le prime libere. Lui se la cavò.


Andò peggio a Roland Ratzenberger durante le qualifiche, il 30 aprile. Il pilota austriaco, un trentatreenne veterano delle corse, ma debuttante in Formula 1 (San Marino sarebbe stato il suo terzo GP), stava cercando di uscire dalla palude dei piazzamenti meno nobili della classifica per risollevare la sua posizione, per la verità un po' a rischio, in scuderia, la britannica Simtek (arrivava da un ritiro e un ultimo posto), quando un pezzo dell'ala anteriore, indebolitasi durante un fuoripista al giro precedente, si staccò, finendo sotto le ruote e costringendo la vettura a un dritto contro il muro a trecentoventi all'ora. Ratzenberger morì praticamente sul colpo, a causa della decelerazione folle, che gli ruppe il collo. Il casco bianco e rosso ciondolava da una parte all'altra mentre il relitto della macchina terminava la sua corsa e si fermava. Estratto dalla Simtek distrutta, perdeva sangue dalla bocca e dal naso. Provarono inutilmente a rianimarlo, ma era chiaro che non c'era speranza. Venne dichiarato morto in ospedale: l'avessero fatto sul posto, la gara sarebbe stata sospesa, il circo avrebbe dovuto chiudere per un giorno. Non poteva succedere.


Quel che accadde il giorno dopo in gara, il primo maggio, non lo scriverò. Mi limiterò a riproporre quel lavoro, Lui era Ayrton, che a Senna dedicammo e che, a maggior ragione oggi, vogliamo dedicargli. A lui, a Ratzenberger, a tutte le vittime di quello che continuo a considerare uno degli sport più belli del mondo. Per non dimenticare.


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